Mi sono presentato alla
partenza temendo di non arrivare in fondo. Ho perso e ritrovato una lente degli
occhiali, ho superato la Forcella Pordoi 5 minuti prima del cancello orario. In
discesa sono caduto e mi sono rialzato. Ho faticato dal primo all’ultimo metro
e ho tagliato il traguardo pochi minuti prima del tempo limite. Essere finisher
di questa gara mi riempie di orgoglio. Questo è quanto. Ciò che segue sono
chiacchiere da bar.
Mi
guardo intorno, ma non mi sembra di scorgere molti fratelli tapascioni. Oltre
700 alla partenza divisi in batterie, pronti a salire verso il Sass Pordoi che da
qui, dalla piazza di Canazei, mi sembra lontanissimo. Non ci sono mani alzate
a salutare l’elicottero in volo sopra di noi, né speaker a caricare i concorrenti,
o musiche teutoniche a nascondere il sordo rumore di chi è votato alla fatica.
La conta alla rovescia è il preludio all’apertura della prima gabbia, quella
dei top runner, i corridori del cielo. Poi a seguire sarà la volta di chi viene
dietro, buttato nella mischia come un gallo da combattimento. La prima curva, e subito si sale. Meno di un
chilometro e lasciamo la strada forestale per le piste da sci. Falsipiani
ondulati si alternano a ripide salite su un sentiero tracciato nel prato. Sono
già in apnea. Al primo ristoro volante il bastoncino sbatte contro gli occhiali
e una lente mi cade. Non capisco, non vedo, la cerco nell’erba in mezzo alla
miriade di scarpe che procedono. Una ragazza la trova e il mio grazie si perde
nella preoccupazione di non potere continuare la gara. Ma la lente è intatta e
la mia guida indiana si premura di rimetterla nella sede appropriata. Il Passo
Pordoi è subito lì e ci arrivo in un’ora secca. La guida mi incita a non
perdere tempo.
La Forcella Pordoi ci attende con il suo cancello orario di
1h50’, l’unico dell’intera gara, quello per tenere lontano dalla leggenda delle
skyrace gli scocciatori, i tapascioni come il sottoscritto. Da qui sotto la
Forcella non si vede. Si immagina solo, 600 metri più in alto, in cima al
ghiaione, dove è diretto il lungo serpentone di formichine che incombe sulla
mia testa. Nella prima parte si va su dritto per dritto, a sbuffare sui
bastoncini per non perdere aderenza. Mi
passano in tanti. Poi all’inizio dei tornanti la situazione mi appare meno
complicata, prendo il ritmo e la voce sempre più forte dello speaker che arriva
dalla Forcella infonde la fiducia necessaria per arrivarci. E’ fatta: 1h45’! Il
passaggio sotto il tunnel scavato nella neve non mi provoca l’emozione che
avrei pensato di provare, ma al rifornimento scarico la tensione con un urlo
(cedo i bastoncini al servizio e sarà l’ultima volta che li vedrò – sigh!). Qui
però non inizia la passeggiata così ben descritta giorni prima dalla guida
indiana. Il tratto innevato a mezza costa conduce alla salita verso il Piz Boè,
cima coppi della Dolomites, con i suoi 3150 mt.
Si sale per corde e scalini
metallici, attendendo il proprio turno, tra turisti che scendono e runners che
spingono. Scolliniamo in 2h22’, dopo aver percorso poco più di 10 km. La
discesa appare da subito complicata. E’ tecnica, con pendenza massima ed il
ghiaccio a rendere tutto più difficile. Non c’è tempo di ammirare il
meraviglioso paesaggio che mi circonda, preoccupato come sono dal tizio dietro
di me che mena i bastoncini a mo’ di spada e cerca di crocefiggermi appena tocco
la roccia con la mano.
Poi arriva il godimento: gli ampi tratti innevati sopra
il rifugio Boè permettono la discesa di patello, la più sicura e la più veloce!
Il panorama lunare merita qualche foto, ma ancora una volta occorre fare i
conti con l’orologio. Si avvicina il tempo limite per arrivare al traguardo, e
la strada è ancora lunga. Sentieri di alta montagna e ghiaioni da percorrere
sciando. La stanchezza si fa sentire e la caduta mi attende nell’ultimo tratto
di forte pendenza. Una capriola e torno in piedi che neanche la Bullock in
Gravity avrebbe saputo far meglio. Gli ultimi km appartengono al mio limite,
quello fisico e mentale che non riesco a superare. Con la guida indiana a
sollecitare un passo più sostenuto e a spergiurare un paio di volte che si
tratta dell’ultimo km e mezzo. Ce la faranno i nostri eroi a stare dentro le quattroreequindici? Nelle condizioni in cui sono poco importa. Ma alla fine ecco il rumore
delle auto che spingono sulla strada verso il Pordoi e quando siamo veramente
all’ultimo km c’è solo il tempo di alzare il pugno al cielo e correre insieme alla mia princess fino alla passerella finale.
E’ finita! 4h10’ per poco più di 20 km, volati in un attimo, come solo le cose
belle, come la passione per questi monti che brucia dentro!
Grazie Kit Carson!