20 luglio 2016

16 luglio - Bettelmatt Ultra Trail (ovvero del diletto)

Agli amici del baretto che mi chiedono della fatica nel fare 83 km su e giù per i monti rispondo loro che dovrebbero provare a stirare 6 camicie (rigorosamente manica lunga) in una torrida sera d’estate per capire cosa è la vera fatica. Non che la BUT sia stata una passeggiata, ma la cadenza triste del cercatore di funghi mi ha permesso di schivare la tagliola dei cancelli orari messi un po’ alla c###o e di arrivare al traguardo di Riale poco prima che l’uomo scopa ed il buio mettessero la parola fine a questa ultra della Val Formazza.

19 ore sulle gambe sono lunghe anche da raccontare, ma agli amici del baretto, che intanto si godono l’òra, il vento che soffia dal lago, è sufficiente qualche immagine per diagnosticare la grave malattia mentale del tenutario di questo blog. Per esempio l’immagine della partenza alle 3 della mattina da Ponte insieme ad altri 200 frontali accese, pronte ad arrampicarsi sulla gippabile che porta al lago del Vannino. Poi in rapida successione la salita al passo del Busin e alla Bocchetta della Valle dove l’alba ci incontra quasi 1400 metri più in alto rispetto al punto di partenza per donarci l’incanto delle più famose tra le cime lepontine. Da lì lungo i prati del grande est e poi in picchiata verso il Devero. Al 27esimo km finalmente il primo ristoro ed una colazione decente, dopo il pan bauletto e mortadella ingoiato alle 2.30.


Ora gli amici del baretto, con la coda dell’occhio ancora attenti alle belle tedesche che sfilano verso la spiaggia della Porfina, vogliono sentire parlare di gesta eroiche, di dislivelli macinati. Ed io giù ad esaltare la lunga salita alla Scatta di Minoia che ci riporta verso il lago del Vannino o ancora quella secca verso il Passo del Nefelgiù. “Ma ragazzi sono le discese quelle che mi spaccano, lo volete capire!” E’ lì che il Tapabada perde terreno, con le Akasha che mostrano tutta la loro gioventù.


Dolorante ai piedi e claudicante nella testa quando arrivo alla base vita di Riale sono pronto al ritiro. I 50 km alle spalle mi sembrano già un’enormità e tornare qui dopo averne macinati altri 33 è un’idea che mi affascina tanto quanto vedere Reazione a catena. Ma complice il pensiero degli amici del baretto che rimarrebbero senza lieto fine ed un piatto di pasta il Tapabada, rifocillato e risuolato con delle più generose Hoka, riprende il cammino (perché di questo ormai si tratta) verso i 3000 metri del rifugio 3A. L’apprensione di chi mi guida in questa avventura è il cancello orario successivo. Io invece mi godo la fatica immane che porta verso il rifugio mai toccato, ma così ricorrente nei miei pensieri giovanili.


Gli amici del baretto, finalmente catturati alla mia causa, sono lì con me ad affrontare le rampe che dal lago Morasco salgono prima ai Sabbioni e poi al Claudio e Bruno. Non degnano nemmeno lo spritz gardesano in bella vista che il Fabio ha servito loro e si mettono in coda su quel sentiero che sembra non finire mai. Là in alto il 3A mi guarda storto, ma io non mi curo. Sono concentrato a sentire sulla faccia e nelle orecchie il sibilo del vento patagonico di questo tardo pomeriggio limpido e abbagliante. E’ l’unico rumore che si percepisce nell’immensa vastità di blu, verde e bianco che l’occhio può abbracciare. 





Arrivato al ristoro del 3A ancora non è finita: manca la discesa a patella dal ghiacciaio del Siedel, il passaggio al rifugio Città di Busto e la planata sulla piana del Bettelmatt 5 minuti prima che chiuda il cancello orario. “Amici, non vi sto a raccontare gli ultimi 17 km. Subito la salita al passo Gries, poi i nevai verso la capanna Corno, e ancora il passo S. Giacomo, ultimo dislivello prima dell’arrivo”. Preservo la mia testa e le mie gambe da ricordi penosi. Siamo agli ultimi 5 km. Il lago Toggia è interminabile. Sfila lento alla nostra sinistra prima della picchiata (!) finale verso il traguardo. E’ l’idea di dovermi fermare a cercare la frontale nello zaino e farne ulteriore uso a provocare in me un sussulto d’orgoglio e a riaccendermi i led del sistema nervoso. Aziono i flap e l’ultimo km mi sembra volare via. La passerella finale al chiaro di luna è per pochi intimi. Qui hanno già sbaraccato. Rimane un tabellone da firmare e una bionda ad immortalare il Tapabada e la sua guida indiana. La tanta fatica mi impedisce di gustare appieno l’emozione del momento, del #nonsimollauncazzo e del celodurismo che ti porta a fare ‘ste cose qui. Riale, deserta e buia, diventa all’improvviso una realtà per i miei piedi ed una sorgente per il mio spirito. La festa proseguirà domani, ora c’è tempo solo per una doccia ed una pizza, perché le grandi distanze ti fanno apprezzare solo l’essenziale, il qui&adesso.

Gli amici del baretto, finalmente a bocca aperta, pare abbiano compreso il senso ultimo dell’inutile. Poi però salta su come sempre il Toni a chiedere “Ma chi te lo fa fare?” Ed allora anch’io come sempre: “Pacialacc, ma per diletto, per il mio unico diletto! Per cosa sennò?”.

4 luglio 2016

But #3

A fare i brillanti poco ne viene (Pellè dal dischetto insegna). Così dopo avere fatto tremare la famiglia snocciolando un programma di allenamento basato su sudore e assenza prolungata dal desco famigliare, mi ritrovo la domenica mattina con D+ settimanale pari a zero.

E anche questa domenica con aria frizzante e zero nuvole in cielo sarebbe di quelle da portare la famiglia in gita sulle Alpi per godersi una polenta al primo rifugio aperto come da manuale dei "merenderos". Purtroppo (?) non ho fatto i conti con il resto della ciurma, la cui voglia di alzarsi dal letto è direttamente proporzionale a quella del Tapabada di sciropparsi n. km in auto per giungere alla prima protuberanza alpina.

Ne deriva una partenza ritardata, un percorso breve, da scalare prevalentemente sotto la stecca del sole. Chiudo pure in largo anticipo sul previsto. Le nuove NB V3, alla prima uscita, mi stampano due belle vesciche sul retro, e confermano la tesi che se la vocina ti dice di stare a letto tu devi assecondarla... anche in giornate come questa, #but o non #but.



22 giugno 2016

But #2

Tra le cose più improbabili, ma anche memorabili della vita podistica (e non solo) del tenutario di questo blog ci sarà sicuramente la BUT. Una ultratrail che per me vuol dire esplorazione. In questo caso più di me stesso che dei luoghi che attraverserò. Sarà sopratutto una non corsa, piuttosto una lunga passeggiata che speriamo di completare nel tempo limite. Ma qualora non si arrivasse in fondo non starei a dolermene più di tanto. Senza scomodare frasi celebri su viaggi iniziati con il primo passo il mio viaggio è già iniziato con la ricognizione del percorso. E' stato bello perché con la mia guida indiana abbiamo cercato il percorso in mezzo alla neve, lo abbiamo abbandonato e poi recuperato ... insomma abbiamo esplorato. E questo è il senso che la BUT ha per me.


16 giugno 2016

11 giugno - Licony Trail (24K)

Commentare un trail in cui ho beccato 50 minuti da un tale Mastrota Giorgio, di sicuro non assurto alle cronache per le sue doti di trailer, è demotivante, ma facciamo anche ‘sto bagno di umiltà.

Pioggia poi sole, poi ancora pioggia a Morgex. Vorrei smettere di parlare del meteo quando scrivo delle mie gare, ma quest’anno va così. Giacca si, giacca no, pinocchietto si pinocchietto no. Alla fine parto bardato da palombaro e sulla prima rampa devo improvvisarmi strip-teaseuse in movimento per godere dei primi raggi di sole… no delle gocce d’acqua … beh insomma deciditi Giove Pluvio! Tutto ciò mentre cerco con la mano libera di dare più cinque possibili alle due ali di bimbi forniti di campanaccio che fanno da corona a questo meraviglioso paesaggio.


Non che l’abbigliamento faccia molta differenza. La salita verso l’alpe Licony è tosta e la faccio in trance agonistico, con il risultato di essere già “spantegato” (grazie Michele, adesso che ho provato sulla mia pelle il termine posso ammettere che rende bene l’idea) nel punto più duro dell’ascesa. Mi fermo per riprendere fiato e soprattutto tranquillizzare quello davanti a me che dal tanto ansimare che faccio continua a voltarsi per vedere se schiatto. Abbiamo attraversato un canalone tutto attrezzato da salire a 4 zampe. Fortuna che passa l’elicottero per delle riprese a bassa quota. Mi fermo ancora un po’ e gesticolo vistosamente in direzione del velivolo per sincerare gli occupanti che tutto è a posto (no dai scherzo). La pendenza ora diventa più consona alle mie possibilità: è una pace per gli occhi e i polmoni. I campanacci di tre tifosi tre, che fanno casino come fossero il migliaio di fan del Ghedina in trasferta, mi guidano verso le ultime rampe prima dello scollinamento, che però non arriva mai. Tiro il fiato e giù a punciòt. Il ristoro del nono km all’alpe Licony cade a fagiolo. Pieno di libagioni che lascio sul piatto, mi consento solo una fetta di salamino. Poi la discesa su strada forestale e lungo un traverso in mezzo al bosco che fa volare tanto è piacevole calpestarlo. Difficile concentrarsi sulla gara dato il contesto in cui sto correndo. Il ristoro di Planaval al 15esimo arriva da sé. Rinfrancato dalla bresaola locale riprendo slancio, superando i soliti cadaveri (no, no, questa volta non guardate me). Qui veramente il sentiero è morbidissimo, trapuntato da aghi di pino che mi ci fermerei a fare una pennica.

Ormai alle viste di Morgex c’è tempo per l’ultima salita breve, ma tosta. Poi il caldo di mediodìa spegne i pensieri e anche le forze. L’ultima corsettina è per superare le scope della lunga, qualora valesse qualcosa. L’esaltazione di ricevere quale omaggio per il finisher una caraffa da riempire (uno dei tanti meriti di questa organizzazione) va a farsi benedire appena mi giunge notizia che il suddetto GM è arrivato con largo anticipo rispetto al tenutario di questo blog.

La crisi di mezza età esiste solo per il Tapabada?


6 giugno 2016

But #1

Mi consola pensare che non sarà per sempre. Nel senso che un giorno smetterò di gettarmi in folli (tali solo x me) avventure podistiche. 

Causa mancanza di socio accantono, ma solo per il 2016, il Sentiero Frassati TT.AA. e passo ad un più modesto trail da 80 km(!) in mezzo alle montagne di una vita, sperando che dopo il 18 luglio non si intenda quella passata.

Nell'attesa di conoscere la concretezza della suddetta affermazione procedo ad allenamenti mirati, come si addice ad un padre di famiglia libero da impegni. Approfitto dunque del lungo ponte per metterci dentro ripetute in piano, anzi sull'asse (3 camicie, due jeans e 4 magliette), in salita, o meglio sulla scala (una tapparella e due armadi) e un po' di resistenza: 2 giorni 2 passati con mia figlia senza il supporto fisico della moglie.

Esco dal weekend provato, ma più consapevole delle mie possibilità (cit.) in vista della #but.


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