Personalmente c’erano due motivi per
partecipare alla prima edizione dell’Eolo Campo dei Fiori Trail: che era la
prima edizione appunto (e quest’anno con le prime edizioni statisticamente ci
ho dato); secondo, che occorreva mettere il sigillo al concorso della mia
società Team Insieme Trail. A dire la verità ce n’era un terzo di motivo. Nei
miei percorsi domenicali scendendo dal Forte a Orino, dopo avere bevuto alla
fontana in centro, di default giro a sinistra per tornare alla base. Ma una
domanda mi ha perseguitato in tutti questi anni: a destra cosa c’è, dove si va?
Adesso lo so, ma forse era meglio non saperlo: km e km di saliscendi, certe
volte accanto alla strada provinciale, altre volte nel fitto del bosco, ma
sempre km e km, e peggio ancora, da correre per la maggior parte. Una fatica
sovrumana di questi tempi per il tenutario del blog. Comunque …
… partiamo ed è subito fatica. Qualche
tornante per lasciare dietro di noi il lido di Gavirate e salire nel bosco che ci porterà fino ai 1000 metri del Forte di
Orino. Le gambe sono già stanche dopo i primi km. Metto le quattro frecce,
accosto e la modalità eco viene subito inserita. Dopo un’ora e venti finalmente
scollino in una giornata grigia come il mio umore, visto che i miei soci si
sono già tutti dileguati nella successiva discesa verso Orino. Arrivato in
paese giro a destra (finalmente!). E’ chiaro che la fatica esiste e il mio
fisico non ne vuole più sapere in questo periodo. Nei tanti km che si succedono
gli unici momenti da ricordare sono a) il ristoro a Castello Cabiaglio, dove un
preadolescente, novello Van de Sfroos, con chitarra e microfono fa dimenticare
le secchiate d’acqua che scendono a profusione e b) l’inizio dell’ascesa verso
il Sacro Monte (almeno non devo far finta di correre). In salita riprendo
colore - intendo in faccia e di umore, passo per le Cappelle del Sacro Monte e
arrivo alle Tre Croci. Mi butto sulla prima di queste in un tana libera tutti,
pensando che le fatiche di giornata siano finite. Invece no. E’ tanta la voglia
di correre questo trail che mi sono documentato di conseguenza. Mi frullo in
rapida (sifaperdire) successione anche la salita alla Punta di Mezzo e una
crestina che avrebbe un significato percorrerla solo in assenza di nebbie. Gli
ultimi 8 km mi ricordano quelle esperienze da viandante-pellegrino, dove
l’unica buona notizia è riuscire a trascinarsi per un altro km. Chiudo cercando
di dare una motivazione competitiva alla giornata. Supero l’unico socio più in
crisi di me e sprinto sul lungolago in modo politically
uncorrect davanti ad un tapascione che si attarda aspettando il figlioletto
(si ho fatto anche questo e oggi non me ne vergogno).
Centrato l’obiettivo minimo (portare a
casa l’ennesima prima edizione di un trail e il concorso societario) con il
massimo sforzo, mi scolo l’ennesima birra (qui ce n’era a tutti i ristori, al
contrario della mia ultima esperienza). Seduto sulla riva del lago attendo che
il cadavere ritorni in sé. Zero al Tapabada e dieci agli organizzatori. Bravi
in tutto, ma soprattutto ad avere tracciato un percorso logico e filante,
quelli richiesti dai moderni urban trailers, quelli che: “sto preparando la
maratona autunnale e questo trail è ideale come lungo” (sigh!)
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