11 settembre 2019

7 settembre - Dolomiti di Brenta Trail (45K)


Pioggia battente, pioggia intermittente, piovaschi ... pioggia intermittente, pioggia battente, ecc. ecc.

Attendo in auto che spiova, mentre nuvole nere disegnano forme strane sulla superficie del lago, illuminato dalle prime luci dell’alba. Inutile. Continua a piovere. Allora mi metto in coda per il controllo del materiale obbligatorio. Oggi nessuna deroga. Ieri in quota ha nevicato e anche questo pomeriggio è prevista neve. Goretex si, goretex no. Poi si parte, che già sono le 7. Un lenzuolo nero teso dai barbuti di URMA ricorda a tutti i 600 trailers che l’unica nostra fede è la fatica e oggi siamo qui per professarla. Il primo stop, quando inizia il sentiero che porta ad Andalo, mi dà il tempo di togliere il goretex e scambiare quattro parole con uno della Valbossa, pure lui scappato dalla riserva made in Varese. I primi km sono salita corribile. Ci si scalda al solo pensiero che finalmente la pioggia ci dà una tregua. Ad Andalo poca gente infreddolita e la piazza della mia gioventù assolutamente vuota. Si sale in fila indiana, oltre l’ultimo maso, per il sentiero che taglia la forestale. Bel tracciato davvero. Strano a dirsi, ma il bosco che ci avvolge sembra anni luce lontano dalla folle urbanizzazione che ha interessato il paese ai suoi piedi. Uno shottino di the al primo ristoro e poi ci immergiamo in un single track tutto sali e scendi. Intorno arbusti bassi e conifere nascondono solo parzialmente le pareti di dolomia che si iniziano a intravedere sopra di noi. L’ambientazione è tutto molto Yosemite.

La rampa oltre Malga Spora ci porta allo scoperto quando la pioggia torna a farsi fitta. Al passo della Gaiarda si aggiunge il vento e nella successiva salita al Grostè pestiamo la prima neve di stagione. Nuvole basse avvolgono le pareti che ci sovrastano. Siamo ormai sul versante di Madonna di Campiglio. Piste da sci, funivia e allora giù in picchiata si arriva al rifugio Graffer.

Il tratto successivo è una manciata di massi lanciata da un dio che non ama i trailers. Si sta in equilibrio per grazia ricevuta sulle pietre scivolose. Ma infine arriva anche il rifugio Tuckett, con le tipiche persiane bianche e azzurre dei rifugi trentini. Il freddo si fa sentire, e allora il brodo del Tuckett, scodellato in bicchieri marcati Forst, non ha prezzo (è una delle ragioni per cui sono tornato su questi sentieri). Gambe a posto testa ancora sul pezzo, peccato le nuvole basse che mi precedono verso il punto più alto della gara, Bocca di Brenta (2552). E’ un susseguirsi di rampe brevi e cattive fino al Rifugio Brentei, per anni la casa della grande guida alpina Bruno de Tassis che qui ha scritto pagine di storia alpina. Ai meno esperti il rifugista indica il tempo per arrivare in cima alla Bocca. Si tiene largo perché siamo tapascioni che passano a valanghe di minuti dai primi. Un’ora è il tempo che impiegavo da ragazzino e che voglio impiegarci anche oggi. La chiesetta dei nostri sogni è l’ultimo avamposto prima della bufera che risale con me il vallone del Brenta. L’acqua ghiacciata tempesta il goretex ormai umido. Si intravede il ghiaione finale tutto imbiancato. Quando ci arrivo l’acqua si è fatta neve. Dalle pareti sovrastanti scendono vere cascate. Il tratto più verticale ricompatta il gruppo. Uno dietro l’altro, senza soluzione di continuità: piantare i bastoncini, fissare il piede di chi ti precede, sostituire il tuo nell’orma lasciata, non guardare in alto. Freddo bastardo, acqua dappertutto, guanti asciutti nello zaino. Siamo in cima, duecento metri e il rifugio Pedrotti accoglie tutti. Ci metto un po’ per riprendermi e soprattutto per indossare qualcosa di asciutto. Quando esco la tempesta sembra passata. 32 dei 45 km se ne sono andati e ora è discesa, da aggredire per riscaldarsi e per non perdere il filo di una camminata veloce che finalmente diventa corsa lenta. 

Gli ultimi km sono ben diversi da quell’altra volta. Lo sforzo maggiore è superare quel tipo dal cappello a falde che continuava a chiedermi di farlo passare. Poi è la passeggiata sul lungo lago, lo striscione e la spasmodica ricerca dell’unica ricompensa per la nostra fede nella fatica, la birra.



A futura memoria: la lunga da 64k, annullata quest’anno per le condizioni atmosferiche, offre un percorso più completo senza per questo “menare troppo il can per l’aia”, come spesso avviene nei trail in cui si privilegia il kilometraggio alla logica. Porta i concorrenti a transitare in angoli delle dolomiti di Brenta davvero poco frequentati. La gara corta, tuttavia, segue un percorso altrettanto logico e appagante che rende i suoi 45k (alla fine ne ho contati oltre 47) un viaggio alla scoperta di questa meravigliosa zona dolomitica. Il DBT è un trail in vera semi-autosufficienza. Volontari posti nei punti più critici, ristori sufficientemente distanti, ma non troppo (d’altronde i rifugi sono lì da tempo, impossibile spostarli!). Ristori top (si è capito che vado pazzo per il brodo del rif. Tuckett?), non manca nulla, in quantità sufficiente per 600 trailers che come al solito arrivano ai ristori pensando di essere al buffet di antipasti di un matrimonio. Nessuna pecca? All’arrivo deve essere più visibile la spillatrice della birra. Suvvia! Siamo trailers assetati e offuscati dalla fatica.

17 luglio 2019

13 luglio - Bettelmatt Skyrace (35K poi 36K)

Sfoglio il personalissimo taccuino: 2 bettelmatt run e un ultratrail, quando ancora contava 80 km. Dopo 3 anni allora eccoci ancora qui. A riempirci gli occhi di questo spettacolo naturale che è la Val Formazza. A salire sui tornanti snocciolo nomi di cime e di paesini, saturando la capacità di attenzione dei miei compagni di viaggio che ormai dormono della grossa. D'altronde cane vecchio sa ...



35K non sono pochi, ma se ci aggiungi 2600m di dislivello diventano pericolosi per chi li affronta senza il dovuto rispetto (leggi allenamento). Si sale subito dai 1700 di Riale ai quasi 3000 metri del rifugio 3A, una passeggiata in cui si supera il rif. Busto Arsizio, il nevaio del Sidel e il dilemma ramponcini si ramponicini no (si si si).


La successiva discesa di patello sul nevaio è una momentanea parentesi fredda su m####i già alquanto spianati. Si pensa di scendere a piombo verso il cancello orario di metà percorso, ed invece tocca risalire al Somma Lombardo. Primo crampo e prima foto. La discesa verso il lago di Morasco non finisce mai, come capita tutte le volte che la fai. Si corre per non essere tagliati fuori dalla corsa al cancello orario dei 17km, poi inizia il tratto più tosto verso il passo di Nefelgiù. Non per fare la rima, ma non ne posso più. Vedere il passo da lontano sembra impossibile da raggiungere, sensazione che si fa via via più concreta una volta che distano poche centinaia di metri di dislivello prima di scavallare.

Al grido: meglio un culo gelato che un gelato in culo mi getto nel toboga di neve che porta verso il lago Vannino ed il rif. Margaroli. Adesso mancheranno 10 km, forse meno ... e allora si riprende a correre. Scorci stupendi sotto la cascata del Toce, che non riescono ad alleviare la crisi che prende prima dell'ultimo strappo. Si risale il sentiero che costeggia la splendida cascata tra stop e ripartenze. I suoni degli ultimi km sono silenziati dal dolore al ginocchio che mi terrà compagnia per qualche giorno. Ma alla fine, correndo, camminando o rotolando il traguardo arriva sempre.


11 giugno 2019

2 giugno - Maratona della Valle Intrasca (34k)


Riassunto della corsa:

-  Sono poche le corse così sentite dalla gente del posto. Che poi tutta la gente del posto partecipa alla corsa (e quei pochi che non partecipano si ritrovano al Pizzo Pernice).
-   Dalle mie precedenti apparizioni ricordavo che erano solamente 5 i km pianeggianti prima di iniziare la salita, ma, come già avvenuto nelle precedenti apparizioni, poi mi accorgo che i km pianeggianti vanno abbondantemente oltre i sette
-   Così devo correre per 7 km, che pressappoco è il mio record settimanale
-   C’è da dire che il socio (la gara è da disputare a coppie) alla prima esperienza alla Valle Intrasca non si risparmia, forse pensando che la gara finisca a Cambiasca, dove inizia la salita
-   La prima parte della salita è quella più tosta, eppure la affronto sempre come se fosse la più easy, con conseguenze letali per le mie gambe (ed il morale)
-  Al Piancavallone sei pronto per la resurrezione, poi arriva il Pizzo Pernice e l'evento è posticipato
-  Chi dice che la Valle Intrasca inizia quando inizia la discesa è un saggio … cane vecchio sa
-  Da lì mancano ancora 15 km abbondanti, che per il mio socio ed il sottoscritto non passeranno più
-   Lo spirito della Valle Intrasca è nel ristoro di Cambiasca … docce fredde e pentolone con birra da bere a mestolate
-  A proposito di Cambiasca, la gara potrebbe finire qui, gli altri cinque km sono puro masochismo, soprattutto se percorsi all’ora di pranzo in una calda giornata di giugno
-  Alla fine però c’è il tappeto rosso, la medaglia di legno, due fette di anguria che ti aspettano, e la voglia di ripartire per la prossima edizione.




2 maggio 2019

28 aprile - Val Bregaglia Half Trail (23K)


“Da dove venite?”, “Da Busto Arsizio!", “Busto Arsizio? Ah…”

Arrivare alla quarta edizione è un traguardo da festeggiare per un trail. Al compleanno del Val Bregaglia Trail a Chiavenna siamo in 500, quasi tutti dallo spiccato idioma locale, sparsi tra diverse distanze (43, 23 e 8 km). Cielo terso, aria limpida e fredda, cime innevate, sembra di essere a fine settembre piuttosto che a maggio. Se ne accorgono soprattutto quelli che, come il tenutario di questo blog, hanno scelto l’half trail. Scaricati dai bus appena al di là del confine elvetico, in quel di Bondo, aspettiamo lo start in vasta zona d’ombra per oltre mezz’ora. Non ci fossero sopra di noi il Badile e il Cengalo (do you know?) a scaldare i cuori, potremmo attendere la partenza qualche km più giù nell’ufficietto del Loris Bernasconi che ci ha fermato alla dogana.


Poi arriva lo start. Un giro per prati svizzeri e subito si sale per un sentiero a gradoni, meravigliosa opera umana. Saranno 300 metri di dislivello, ma presi di petto fanno male. Ci si distrae a guardare le cime che scorrono di fianco. Poi un'accelerata perché il sentiero spiana. Uno smile al fotografo e inizia la discesa. Non finisce più. La caserma della guardia di finanza saluta il ritorno in terra italiana. Ora è pianura e tocca veramente correre. Accanto il fiume Mera, per lunghi tratti. Gruppi di tifosi applaudono il tipo del posto che ci precede, duro correre con la crew che crede più di te nelle tue capacità. Oltre la metà gara si sale a Savogno. Siamo alla fine delle salite. Ora serve solo menare le gambe. Tanta discesa anche tosta. Si arriva alle cascate dell’Acquafraggia in piena riserva. Mi stoppo con la scusa del selfie, poi il socio mi traghetta fino al traguardo con il passo del mezzofondista che c’è in lui.


Bella gara, ruspante, ma non troppo. Sarebbe da cimentarsi sulla distanza più lunga per non privarsi troppo in fretta delle belle sensazioni che dà l’ambiente in cui si svolge. Il valore aggiunto del trail è, infatti, il paesaggio tutto intorno (se la giornata è quella di oggi), ma anche il piatto di pizzoccheri chiavennaschi del pasta party, a cui ambivo, per dirla tutta, fin dal momento dell'iscrizione. Una giornata gustata ad un ritmo un po’ troppo veloce per il tapascione che è in me.



3 aprile 2019

31 marzo - Maremontana (45K)


"At some point during an ultramarathon, you are going to hurt, a lot."

E la frase di Jason Koop risulta ancora più vera quando si deve affrontare il primo trail dell'anno. A Loano si celebra a fine marzo la classicissima di inizio stagione (e non siamo qui a parlare della Milano-Sanremo). 1100 trailer diluiti su varie distanze (14, 20, 45 e 60), a godersi un weekend fatto di sole, professionalità organizzativa e sentieri che, partendo dalla spiaggia arrivano fino ai 1300 metri del Monte Carmo. Ingredienti semplici, che hanno attirato alla decima edizione della Maremontana anche i top trailer italiani.



Sfumato, giustappunto, un selfie con il Dega, poi vincitore della 45K, durante le fasi di punzonatura (mi sembrava scortese rubare un attimo di intimità ad un gigante, così di buon mattino) il tenutario del blog ha  potuto sperimentare un'altra volta ancora che la comfort zone esiste solo per gli altri. Non che sia andata peggio del previsto. La prima salita è stata lunga, ma non troppo dura, poi tratti di su e giù anche tosti, e poi la seconda salita, questa sì lunga e dura, fino alla cima Coppi della gara.



Momenti di meraviglia hanno accompagnato la giornata del tenutario di questo blog. Nell'osservare la vegetazione mediterranea piena di profumi che si mischia con quella tipicamente montana. Meraviglia per quelle zampette ancora in perfetta spinta dei primi trailers della 60K che mi sverniciavano dopo tante ore di gara. E meraviglia per quella corsetta a ritmo blando che ancora caratterizzava la corsa del sottoscritto negli ultimi 15 chilometri. Poi il caldo dell'ora di pranzo, alcune salite messe a tradimento per scongiurare l'arrivo del Tapabada entro le 8 ore di gara e gli ultimi 500 metri sulla sabbia, scansando famigliole stese a rosolare, hanno tolto la vena romantica che aveva caratterizzato l'esperienza domenicale fino ad allora.
Nulla di insopportabile, si intende.




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