30 maggio 2011

29 maggio - Marcia Tricolore

A Vaprio il Tapabada ci torna ogni tanto per ricordarsi che le foglie quando cadono si posano sulle proprie radici; ed in questo paesino di poche anime e tanto verde con vista sulle nevi del Rosa un giorno anche lui fermerà la sua corsa. Ma la poesia, che i ricordi delle estati da bambino trascorse tra questi campi alimentano, oggi  sta tutta dentro perché il Tapabada è qui per correre la Marcia Tricolore, valida per la Gamba d’oro. 
L’obiettivo è quello di testare testa e gambe dopo la magra figura della domenica passata. Così dopo l’immancabile Inno di Mameli scappo nelle prime file dei duecento e più partenti. Oggi sono orfano del fido Gps, che mi ha lasciato in panne cinque minuti prima del via. Allo sparo apro il gas e via a tutta senza troppe strategie. Un km e siamo già all’ombra delle robinie che circondano il paesello. I primi sono già lontani, ma davanti a me non ne conto più di una cinquantina. Si passa davanti al campo sportivo e si riprende lo sterrato in mezzo ai campi. Mi sembra già che le gambe non ne abbiano più, ma non ci penso troppo. Piuttosto cerco di seguire qualche podista in modo da non restare solo con i miei pensieri. Siamo al ristoro di metà percorso, quando trovo il ritmo giusto dietro ad un podista della palzola. Con lui mi faccio circa tre km, poi quando il suo gesto atletico inizia a scomporsi, gli chiedo a che km siamo (7,5) e riparto. Una serie di curve e controcurve nascondono alla vista chi mi precede. Poi nell’ultimo tratto di sterrato mi butto all’inseguimento di un tapascione solitario. Lo supero, ma ormai anche la mia spia è sul rosso. Il cartello dell’ultimo km è però lì davanti e l’asfalto sotto i piedi mi permette l’ultima progressione. Curva secca e ultimi 400 metri in leggera, ma sfiancante salita. Il campanile ed il cortile dell’Acli, dove è posto l’arrivo, sono subito lì. Chiudo in 22esima posizione (good job Tapabada!), tra i 44 minuti di chi mi ha preceduto e i 44’36’’ di chi mi segue, su un percorso da dieci km e qualche centinaio di metri. Mi disseto alla stessa fontanella che usavo per pulirmi le ginocchia dopo qualche caduta dalla mia “scassona” trent’anni fa. La poesia per oggi è tutta nell’acqua che scorre ancora da questo rubinetto. 


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