Che
c’è papà? Riflettevo.
Chissà cosa penserete tra 50 anni di
questo padre che vi portava a giro per l’Italia a visitare paesi e città con la
scusa di un trail
Come tutti gli altri anche questo trail inizia con un
viaggio. Fatto con la famiglia, prima a est e poi su a nord, dritto per dritto,
in fuga dalla calura della piana verso quella che troveremo a Cortina. Hotel,
ritiro pettorale, foto di rito. Chissà cosa ne dicono le mie pupe che mi
guardano stralunate e impazienti di fermarsi 1) al primo parco giochi
disponibile fuori dal palaghiaccio cortinese, 2) al ristorante per la cena.
La mattina è un tripudio di colori e di rumori: il parquet della
stanza che scricchiola ad ogni passo del papà, la porta del bagno che cigola (ma quante volte andrà in bagno il papi
questa mattina?), i bastoncini che cadono. Poi stretti i lacci delle scarpe
il papi è nel corridoio e loro possono finalmente ritornare a dormire.
Il passaggio in auto che mi dà l’olandese spilungone fino alla
partenza è solo il preludio ad un viaggio parallelo che durerà oltre 9 ore e
che ci vedrà superarci a vicenda lungo i sentieri. Scatto foto, leggo sigle di
nazioni su pettorali che arrivano da ogni dove, guardo in alto le meraviglie
del creato e poi starto, con calma, senza fretta, godendomi questa giornata che
si preannuncia spettacolo puro. La prima rampa è lunga a sufficienza per farmi
venire il fiatone, ma non abbastanza per diluire il gruppo. E’ un continuo
ciucciare acqua e fermarsi ai torrentelli, perché le temperature sono già alte.
Il sentiero diventa pianeggiante e poi ancora in discesa. Attraversato il
torrente ci congiungiamo agli ultras della 120k per risalire la val Travenanzes
temuta soprattutto dal gruppone della lunga che l’affronterà sotto il sole
cocente di metà pomeriggio. Per noi i tanti km che risalgono la valle selvaggia
sono già caldi, ma ancora sopportabili.
Lo scollinamento alla forcella Col dei
Bos vuol dire acqua e coca cola ad un rifornimento ufficioso. Al di là della
forcella una lunga discesa sarebbe da fare tutta di corsa fino al Rif. Col Gallina.
Me ne guardo bene, dovessi mai recuperare posizioni in discesa! Preferisco
concedermi qualche foto con sfondo Marmolada. Rifugio, primo pit stop ufficiale,
a metà gara – corridori sparsi sul prato a conversare con i parenti in una
mezz’ora d’aria prima delle restanti fatiche. Il recupero richiede acqua, sali,
coca cola e un po’ di salato. Frutta? no grazie! Sono già io alla frutta. C’è
chi da dietro mi invita a correre, approfittando di qualche km in piano. Rifiuto
sdegnato. La salita al rifugio Averau mi sembra non finisca mai. Il rifugio si
vede in lontananza e rimane in quella posizione per molto tempo. Sfiduciato dal
caldo e dalla nostalgia mi fermo a bere e pure a mangiare, poi dietro a
una curva il rifugio! Ma non quello che pensavo io. Quello è sempre là, in
lontananza, anche perché si tratta di un altro rifugio, il Nivolau - la
toponomastica del luogo resta incerta ai miei occhi, sopraffatto da tutte
queste au. Tratto pianeggiante e
sassoso fino al passo Gi-au, secondo
ristoro. Acqua, sali, coca cola, un po’ di salato e anche frutta. Qualcuno sul
lettino ad aspettare il rientro con l’elisoccorso. Mi attende la Forcella Giau,
che mi sembra una forcella Pordoi, fatta con qualche km in più nelle gambe. Ci
arrivo ancora in posizione verticale e lì per lì lo considero un successo.
La
discesa poco me gusta visto che davanti a me, a qualche infinito km di distanza
scorgo i trailers che mi precedono imboccare una salita costante e lunga. Sarà
l’ultima? Dal roadbook pare così, ma questo non mi esime dal trascinarmi fino al
Rifugio Croda da lago lungo uno stradone in discesa che tutti gli altri
percorrono saltellando giulivi (o così a me pare). Ne mancano 9 di km
all’arrivo. Estraggo il cellulare, whatsappo le pupe al fine di prepararle alla
parata finale. Bevo un brodino tonificante, mentre le nuvole si fanno
minacciose dopo una giornata di caldo torrido. Non è che 9 km siano pochi, ma
almeno la singola cifra fa bene al morale, dopo averne fatte una quarantina. Il sentiero
scende a valle prima deciso poi troppo lento, Cortina là in fondo non arriva
mai. Incito per l’ultima volta l’Olandese volante che sfilo al grido di “Giò a
punciot!” (con tutte le dieresi del caso) - chissà se avrà inteso. Mi fermerò
più volte a camminare e soprattutto a sbevazzare birra e mangiare anguria al
migliore ristoro della gara, quello di Mortisa, quando ormai manca solo un
po’ di bitume al traguardo. La parata con le pupe è un must, farsi immortalare sul traguardo
con loro un’eccezione. Come sarà stata un’eccezione quella birra calda che mi
propinano dopo l’arrivo. L’unica delusione vera di questa 3 giorni ampezzana.
Figlio di un dio minore il Cortina Trail vive all’ombra della più rinomata sorella LUT. Eppure la luce riflessa, in termini di organizzazione,
professionalità e clima internazionale che si respira sul percorso, è di quelle
che abbronzano. Certo non transitare sotto le Tre Cime di Lavaredo è un peccato, ma lascia
la necessaria acquolina in bocca per cimentarsi sui 120 km in futuro. I panorami sono comunque di grande impatto e la scorrevolezza del percorso consentono a chi ha un po’ di allenamento di soffermarsi a gustarseli. Pacco
gara da top con maglietta e gilet da finisher che valgono da soli l’impegno
economico sostenuto. Esserci una volta almeno è d’obbligo per chi corre
i trail.
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