Prima dei trail fatti negli ultimi due
anni mi è capitato spesso di pensare che non avrei potuto arrivare al giorno
della competizione meno preparato. Beh, ogni volta mi sono superato.
Campo
dei Fiori Trail, Gavirate, Varese. 45 km (ma c’era anche una gara da 65 e la
corta da 25 km), Passare otto ore in giro per i monti lascia un velo di
stanchezza nelle giunture, ma soprattutto nella mente. Solo qualche giorno e
qualche esercizio di allungamento dopo permettono di mettere a fuoco la solita
giornata di sofferenza che ho passato. La 45 era una release aggiornata in meglio
del trail dell’anno scorso. Qualche km e metro in verticale di più, percorso in
molte parti nuovo. Una gara di per sé corribile con tre salite: la scalinata
della funicolare, Chiusarella/Martica e la salita per tornare al Campo dei
Fiori. La partenza insieme a quelli della 25 faceva immaginare fiumi di muscoli
e ghiandole sudoripare cimentarsi sulla distanza scelta dal Tapabada, ma una
volta superato il bivio che separava le due gare, di trailers sui sentieri se
ne sono visti pochi (intendo quelli che solitamente mi superano dopo i primi
dieci km).
Grazie
alla preparazione specifica, basata su una dieta di frutta secca iraniana, fin
dai primi km (dove c’era da correre) ho fatto a spallate con la mia soglia
anaerobica. All’imbocco della famigerata scalinata aveva già vinto lei (voglio
dire la mia soglia) e da lì fino alla cima del Chiusarella ho applicato la
solita filosofia zen che contraddistingue le prestazioni del Tapabada: cercare
di evitare l’infarto in salita, camminare in piano, non farsi male in discesa. In
cima al Chiusarella mi sono fermato cinque-minuti-cinque prima di intraprendere
qualsiasi azione (dico fisica e mentale). Da lì in poi, ed eravamo appena al
20esimo km, ho provato a reagire alla crisi. Le astuzie e la pazienza non
sarebbero servite a superarla. Solamente grazie alla sopravvenuta crisi del
socio di giornata sono infine riuscito ad impostare una modalità crociera che
mi ha permesso di arrivare al traguardo nel tempo profetizzato al barettino
prima della partenza.
Ancora
una volta ho cercato i miei limiti e ahimè li ho trovati, su un percorso che
rispetto all’anno scorso si è rivelato più divertente e soprattutto meno banale
nel suo sviluppo. Salite toste, alternate ad altre più umane, terreno di tuti i
tipi, dalle roccette al sottobosco con radici, dove allenare le (poche) doti propriocettive. Ristori all’altezza (quasi
sempre) e docce calde completano il pacchetto. Per i finishers, poi, la bozza di
birra ricevuta oltre il traguardo mai come oggi è stata apprezzata più di una medaglia. Alla fine una giornata alla scoperta di sentieri nuovi
nel mio playground domenicale.
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