Ci sono momenti in cui è difficile gestire fatica fisica e
mentale insieme. Il TOZ mi ha esaurito le forze prima di arrivare al 26esimo km
e poi mi ha spremuto il cervello in un loop perverso in cui il mantra era: non
correrò più un trail. Un jingle che è diventata un’ossessione prima del cancello
del 45esimo km superato con non poco affanno. Poi la mente si è liberata, e
nonostante le vesciche alla pianta dei piedi, sono riuscito a trascinarmi
all’arrivo.
Alle volte, e questa è una di quelle, il tempo fatto
registrare conta davvero poco (un’ora oltre le mie più pessimistiche
previsioni). Dietro c’è stato un perdersi, un ondeggiare fino ai limiti del
ritiro, per poi riprendere a macinare km, senza farsi sopraffare dalle emozioni.
La gara ha il
dislivello tutta nella prima parte. Il giro del Bonom mi aveva già messo a dura
prova otto anni fa sul percorso della corta. Anche la discesa prima del ristoro
al 38esimo km può segnare il fisico. La seconda parte è decisamente più corribile
per chi ha dispensato con giudizio le energie fino a qui. A non sottovalutare l’ultima
salita verso l’Alpe Luvera e quella successiva verso la Chiesa di S. Bernardo a
rendere tosta anche l’ultima parte del percorso. I ristori erano decisamente
monotoni: formaggio, taralli, grissini, cioccolato, uva passa e banane. Nota di
merito invece per i pomodorini. Tè caldo non l’ho trovato. Magari un ristoro in
più dei 4 previsti sarebbe stato di aiuto.
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