Chiudo
gli occhi, assaporando il bicchiere di Menabrea che appoggio sul tetto dell’auto.
Posso ancora sentire il rumore delle foglie spostate dai miei passi, nelle
narici il profumo del sottobosco … il Casto dà alla testa (anche se assunto in
piccole dosi – 21K).
Rimonto la stretta valle: tracce di
archeologia industriale alle porte di Biella, assembramento urbano che opprime,
palazzi a cinque piani a ridosso del monte. Capisco perché giù a Massazza l’autovelox
fa paura: è un monito rivolto a chi vuole andarsene più che a quelli che
arrivano.
Da queste parti ci ero venuto quattro anni fa e ho ricordi pieni di
acqua e fango. Allora era tutto diverso, era tutto nuovo. Lo è anche oggi per
un verso. Molta più gente, forse troppa. Molti zainetti, forse troppi, per fare 20 km in mezzo alla natura. Tanto cool è diventato il trail,
una moda che mi fa scoprire nella moltitudine anche il gemello grassottello di
Olson.
L’offroad sta diventando out, almeno per me, a disagio in mezzo alla
folla che occupa i luoghi dedicati allo spirito. Ma il Casto fa impazzire,
perché se c’è un posto dove è bello correre in autunno allora è qui, se c’è una
gara che rimane amatoriale, pur con la presenza di tanti campioni, allora è questa. E quindi diamoci
su fin dal primo km, in mezzo ai tanti e poi a gruppi, perché il
pendio verso il monte Casto fa subito selezione. I primi 6 km sono con il naso
all’insù. Il ritmo è quello giusto, rompo il fiato e la salita mi
pare meno dura di quella percorsa quattro anni fa. Si scollina e giù fino al primo ristoro tra
sentiero e poderale corribile. Intorno nuvole basse fanno solo intravedere i
colori di questo autunno. Poi il tratto a mezza costa, nel bosco, un su e giù
dove le gambe vanno da sole. Come nulla arriva il 14esimo km, dove spunta il
secondo ristoro. Mi sono imposto di prendere un gel ogni 50’ e di bere a sufficienza
in una giornata particolarmente umida. Così faccio e riparto sul sentiero
che di lì a poco tornerà a salire per la seconda e ultima asperità della
giornata. Mi sento bene, le gambe girano come avessero trovato la forma dei
giorni migliori, ma soprattutto mi sento in perfetta armonia con l’ambiente che mi circonda.
Un incoraggiamento ai primi della lunga che mi sverniciano senza pietà. L’ultimo
tratto in leggera discesa è uno di quei luoghi per cui invidi chi ci può
correre tutti i giorni. Poi l’asfalto preannuncia i tornanti che buttano giù in
paese. Il cellulare mi serve per documentare i titoli di coda, arrivati troppo presto, prima di una Menabrea
da dimenticare sul tetto dell’auto. Tutti pazzi per il Casto.
