Amo la corsa. A
modo mio. Ancora adesso gli amici mi chiedono dell’ultima maratona o della
prossima mezza. Io a ripetere che ho mollato il colpo. Ora mi dedico al trail,
alla corsa in montagna. Gli amici restano sempre perplessi. Forse per i termini
che uso, forse per gli abbinamenti che fanno. Leggo il titolo del mio blog. Non
mi sento né runner e nemmeno tapascione. Semmai mi sento “der Wanderer” o come si
traduce in italiano. Certo, mi alzo ancora quasi tutte le mattine a correre:
progressivo, lento svelto, anche qualche intervallato. Ripetute no grazie.
L’unica prestazione che mi interessa è abbattere i 33’ nel salire alla
chiesetta di S. Barbara. Per tastare la mia condizione, per alzare l’asticella,
per gioco. L’obiettivo vero è correre senza il Garmin che mi detta il tempo, in sintonia con lo
spettacolo della natura che mi circonda. Difficile per chi di mestiere
raccoglie e osserva fenomeni statistici tutti i giorni. Però…
Oggi sono ispirato dalla
curiosità, esplorare i propri limiti e l’ambiente in cui mi trovo. Quando
percorro le tracce del Motty per un sentiero tanto noto ai più quanto sconosciuto
al sottoscritto. Quando con le girls arriviamo al castello per un percorso
tutto da scoprire ai nostri occhi, che svela la "busa" nella sua totalità.
O come l’altro
giorno quando, scendendo da S. Barbara, imbocco via Ardaro, passo dalla casa
dei nonni in cui ho trascorso le estati della mia infanzia, supero S. Giacomo e
salgo alle Foci. Quattro case, dove era sfollata anche la mia famiglia ai tempi
della guerra, ora occupate, per contrappasso, dalla nuova orda di tedeschi.
Seguo il cartello che indica strada senza uscita, perché è una delle cose che
mi viene meglio nella vita e perché attirato da un animale che 500 metri sopra
di me è uscito dal bosco per brucare l’erba e godersi l’aria frizzante che
viene dal passo del Balino. La strada termina in una rimessa di ferri vecchi. Sulla sinistra tracce di sentiero conducono nel fitto del bosco.
Poi una scalinata in legno tutta nuova mi fa guadagnare quota. Il
sentiero diventa evidente, ben curato, addirittura le indicazioni
riportanti i nomi degli alberi che incontro. Poi la pendenza si attenua, inizio
a correre. La strada non arriva al cervo che ho visto lassù. Dopo una decina di minuti
sbuca nei pressi di quello che resta dell’ormai abbandonato hotel Maddalena. Su
quei pendii mi portava il nonno, alla scoperta di quello che c’era oltre la
siepe di casa, dove ogni scatoletta arrugginita era un residuato bellico e le
nespole per terra bombe a mano inesplose.
Ora mi siedo nell’erba alta a riprendere fiato,
a trasformare una strada senza uscita in un sentiero pieno di ricordi.