28 agosto 2014

24 agosto - 1^ La Veia Skyrace


Ci sono gare che fanno bene all’anima e un po’ meno al fisico. La Veia è una di queste. Una salita importante nella prima metà del percorso, poi più scorrevole. Grossi massi, single track e mulattiere. E poi la gente, il panorama, il blu del cielo e il verde dei prati … insomma è stato bello esserci.

La prima volta in Val Bognanco deve essere stato dieci anni fa. Da allora però non ho smesso di frequentarla, almeno una volta l’anno, in inverno o in estate. Allora eccomi in viaggio con il Pres verso la valle per la prima edizione della Veia Skyrace. Una giornata con il blu del cielo che spacca. La partenza è da S. Lorenzo a 1000 mt. Sulla 30km siamo in un centinaio, qualcuno di più sulla corta. Pronti via e si affronta subito la salita tosta della giornata per arrivare alla Cima Verosso, punto più alto della corsa a 2400 mt. Il mio ritmo pare decente, carburo subito. I tornanti stretti in mezzo al bosco si alternano a traversi corribili, si gode della natura che ti circonda. Il primo ristoro di giornata è l’Alpe Laghetto (quasi 2000 mt.), che una volta abbandonato il bosco s’intravede in cima a una radura dove abbondano i mirtilli e dove pascola una creatura del bosco.

Sul lungo traverso che porta al lago di Oriaccia e poi alla cresta che conduce al Verosso il Tapabada opera la mossa strategica che cambia la sua gara. Cade, sbattendo il ginocchio su un enorme sasso. Disinfettate le ferite e bendato il ginocchio, grazie al pronto intervento di un volontario, si riprende il cammino. Già si sente la tifoseria sul Verosso che applaude i passaggi sulla cima coppi di giornata, mentre il Tapabada deve ancora imboccare la Costa del Dente, un sentiero in cresta con qualche tratto attrezzato per l’occasione al fine di facilitarne il passaggio in sicurezza. E mentre il Pres fa il suo ritmo e se ne va, giustamente preoccupato del cancello orario al rifugio Gattascosa, la mia andatura si fa sempre più claudicante. Ne approfitto per scattare qualche foto verso il Leone e il Breithorn. Arrivo sul Verosso. Qualche buonanima è ancora lì a incitare gli ultimi. Poi giù per la ripida discesa verso il Rifugio Gattascosa, dove il cancello orario è lì che mi attende sornione. Ce la fò? Non ce la fò? Anche questa volta la montagna ha detto si :))

Passo davanti al paiolo con la polenta fumante in bella mostra fuori dal rifugio e riprendo a salire verso Cima Mattaroni. Sul crinale che ci separa dalla Svizzera si ammira il trittico del Sempione (Weissmies, Lagginhorn e Fletschorn), davanti a me il Pizzo Pioltone. 



Mi concentro nel ricordare il nome della montagna svizzera lì di fronte su cui sono stato anni fa. Chiedo ai volontari senza risultato. "Vabbè! Intanto ho fatto qualche centinaio di metri". Poi traguardo il Passo del Monscera e l’ultima salita di giornata è subito lì. Al giro di boa non sono particolarmente stanco, ma affronto la discesa con tutte le precauzioni del caso. Ora il vento ha lasciato il posto al caldo di metà giornata. Mi fermo a tutti i ristori. Degli altri concorrenti nemmeno l’ombra. Nessuno davanti, nessuno dietro. Il sentiero per il lago d’Agro è formato da pietroni sconnessi e quando cerco di correre, mi accorgo di zoppicare. Ma ormai sento che è fatta. 


Ringrazio ogni volontario che incontro per il lavoro che stanno facendo, scambio una battuta con chi incita il moribondo. Dopo il ristoro di S. Bernardo ecco la lunga discesa che in mezz’ora mi porta all’arrivo dopo oltre 6 ore. Traguardo mezzo deserto: sarò l’ultimo? Poco importa. Torno a casa con stupendi panorami negli occhi e qualche livido sulle ginocchia…ma si sa: #nopainnogain

Courtesy of Arturo Barbieri
 

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