29 novembre 2010

In paradiso

Dalla grande paura al grande freddo. Siamo in tanti oggi qui a Firenze per santificare il giorno del dio della corsa e della sua creatura più cara che è signora maratona. Storie diverse ma non troppo, scritte negli occhi di tutti noi che ci infiliamo nelle gabbie, su una piazza Michelangiolo spazzata da pioggia e vento. Siamo arrivati qui con le nostre tabelle di allenamento, le tante ore sottratte alla famiglia, agli amici, ore passate a correre nel buio della notte o alle prime luci dell’alba. C’è chi ha fatto i compiti per bene e chi un po’ meno, ma tutti siamo pronti al giudizio universale. Chiusi in quelle gabbie per mezz’ora filata, con il solo sacco di plastica fornito dagli organizzatori a ripararci dal freddo, il vento e la pioggia, che lava le nostre colpe di figli, mariti e padri.
Nella città di Dante ognuno di noi è pronto a scrivere la propria Divina Commedia. Si perché la maratona è questo. C’è il paradiso dei primi 30 km, quando il tapascione corre nell’estasi e nella gioia di partecipare alla festa di tutti, quando il gesto atletico è ancora fluido e la mente sgombra da cattivi pensieri. Poi arriva il Purgatorio (dal 30 al 35esimo km), e si inizia ad espiare le colpe di studenti negligenti. Le certezze vengono meno e avanzano nella mente i timori di un peggio senza fine. E poi c’è l’inferno, il cui inizio è in un qualsiasi punto a partire dal 35esimo km. I primi dolori, i crampi, la sofferenza segnata sul volto, quando la maratona diventa masochismo e non si può fare appello al dio della corsa.
Oggi però il Tapabada è qui per festeggiare la sua resurrezione podistica e poco importa di quello che il cielo vomita da lassù. La partenza è lanciata, giù verso l’Arno e per i lunghi ed ampi viali. Ale ed io corriamo sui 5’ e spiccioli. Ogni km che passa leva via le angosce degli ultimi giorni, il ritmo della corsa le annulla. Fortezza da Basso  ed il parco delle Cascine segnano i primi 10 km. Anche il nostro dio porta consolazione: la pioggia diventa fine fine. Si supera il 15esimo e si passa il fiume sul ponte della Vittoria. Palazzo Pitti, i giardini di Boboli e poi ancora il lungarno con il vento e l’acqua che ci puntano dritto e tolgono il fiato. Siamo a metà gara, transitiamo in 1.46 (5’04’’ al km). Ci superano non pochi podisti, ma sappiamo che la corsa non è ancora iniziata. Zona Campo di Marte, poi lo stadio comunale, ecco il ristoro dei 30km. Prendiamo al volo qualche integratore, ma non ci fermiamo. Ora viaggiamo costantemente sotto i 5’/km (alla fine sarà negative split di quasi due minuti). La fatica avanza, ma il corpo è ancora integro. Dopo il 33esimo superiamo i primi podisti alle prese con il loro inferno, c’è la sensazione che questa sarà una bella giornata per me ed il mio socio. Filiamo via verso i budelli del centro storico e la carica che non danno gli integratori lo dà l’incitamento della folla nei passaggi più suggestivi. Siamo al 39esimo quando superiamo Ponte vecchio. Mi giro, vedo Ale che mi segue a giusta distanza. Vorrei aspettarlo per un finale da libro cuore, ma oggi le mie gambe non vogliono rallentare. Per la prima volta da questa mattina guardo il tempo fin qui impiegato, mi sento come mai successo a questo punto di una maratona. Allora spingo ancor più forte sull’acciotolato fradicio di acqua e sudore, solo per il gusto di correre, di sentire che vivo. Un incitamento al pres fermo per crampi e ad un altro compagno di squadra che sfilo via. Poi è tutta adrenalina Tapabada style: i due km finali a 4’38’’, le ultime curve a testa bassa, che gli occhi lucidi non si devono vedere nelle foto. Fermo il crono a 3.31.14, ma non il mio cuore che sa ancora emozionarsi come me. Mi giro e aspetto Ale per festeggiare con un abbraccio liberatorio: lui il personal best io la resurrezione. In questo paradiso di pioggia e freddo.

26 novembre 2010

Alive & kicking

Confesso all'anonimo (?) lettore che reclama l'aggiornamento del blog che il tenutario del qui presente ha avuto la quasi certezza di lasciar perdere tutto. Intendiamoci mica per sua volontà, ma perché alle volte il famoso piano B te lo presentano gli altri senza possibilità di replica. Ma così gira il mondo: ieri ero qui e domani sarò . Nel frattempo una mezza maratona, corsa con la convinzione che sarebbe stata l'ultima volta della mia (pur) breve vita di tapascione e 26 km allenanti in 15 giorni. Niente male per quel che mi aspetta domenica, ma la testa conta più delle gambe (non solo nella maratona). L'importante è avere l'ispirazione, quella che mi porterò racchiusa in un foglietto sotto la soletta della scarpa dx. 

"La maratona rappresenta l'esistenza. Ha punti bassissimi che devi superare e momenti d'estasi che ti sforzi di prolungare. E' un'esperienza spirituale attraverso la quale entri più profondamente in contatto con te stessa, trovando le risposte che cercavi" (P. Radcliffe)

“Se la notte sogno, sogno di essere un maratoneta”  (E. Montale)

11 novembre 2010

Piano B

Ci vadano gli altri in villa questa mattina, io scappo via da tutti i cattivi pensieri. Approfitto dell’estate che ci regala S. Martino per l’ultimo lungo pro-Firenze. 


Ed in attesa di un foglio di via libera che tarda ad arrivare e che delimita chi corre con chip da chi lo fa senza, rifletto sul mio piano B. Sì perché tutti i maratoneti con un minimo di esperienza sanno che nella maratona, come nella vita, occorre avere un piano B. Perché la maratona, come la vita, non sempre va come deve andare e allora in corso d’opera devi avere un piano B prima di fermarti senza forze al lato della strada. Pensando a tutto questo ed alla bellezza di essere semplicemente uno che corre in una tiepida mattina di novembre ne ho fatti 33 (di km) in 2 ore e 45’. Tra due settimane, tenendo questa media, arriverei non lontano dal mio PB sulla distanza. Ma questo è il piano A, adesso devo preparare il B. 


1 novembre 2010

31 ottobre - Trail del Monte Casto

Il Trail del Monte Casto è la festa del trail. E della festa ci sono tutti gli ingredienti: un padrone di casa grande organizzatore di feste, un buon numero di invitati di razze diverse, cibo e bevande in quantità (Menabrea alla spina su tutto). Ma soprattutto, come in tutte le feste che si rispettino, c'è la sorpresa: pioggia (per i più coraggiosi anche la neve), fango e freddo. Cosa potrebbe volere di più un trailer!

Ad Andorno Micca il Tapabada ci arriva da imbucato (perchè alle feste c'è sempre un imbucato). Non sono ancora un trailer ma faccio le prove. Piove, non ancora sul serio però. Risolvo gli ultimi dubbi sulla vestizione (parto con kway, che leverò quasi subito, e guanti) e mi accalco con gli altri runners della 21 sotto un tendone in attesa della partenza. Sappiamo che il percorso lungo è stato accorciato causa neve, ma a noi ci sarà risparmiata. Guardiamo in su verso quello che ci attende da lì a poco e la pioggia già si sente lungo la schiena. Partenza via e subito salita. Prima su asfalto poi per sentieri che diventano presto piste di fango. Ci si aiuta con le mani per non scivolare. Sul primo traverso prima caduta: il piede va via e atterro sulla luna, iniziamo bene! E' salita tosta ma bella, camminabile ma con ritmo. Bellissimo il sottobosco per arrivare in cima al Casto. Qui c'è gente che non scherza. Uomini dei boschi che conoscono il posto. Mi aggrego ad un gruppo di 4/5 che van su di conserva. Scolliniamo e poi giù a mille fino al primo ristoro. Davanti a noi, in mezzo alle nuvole, montagne imbiancate. Non posso fare a meno di fermarmi e documentare con la fotocamera. Ma sarà la prima e ultima foto. 


La discesa è davvero impegnativa, mi aggrappo a tutto per non cadere. Mi passano in molti, ma rispetto agli ultimi trail mi sento più sicuro. Finita la discesa inizia un bel tratto in falso piano. Penso che qui deve essere bellissimo correre in una giornata normale. Si inizia a superare gli ultimi della gara lunga. Dopo il secondo ristoro il sentiero si butta giù, la staccionata che ci divide dal fosso non è molto solida, quello davanti a me scivola nel fosso. E' un attimo, mi fermo, allungo la mano torna in pista. Un grazie e via. Verso il 14esimo km l'ultima asperità della giornata, si scivola giù in continuazione, ma mi sento bene ed i piedi rispondono veloci prima che il fango li freghi. Dopo il terzo ristoro, mancano gli ultimi 4 km. Si fila via prima su (bel) sentiero, che la pioggia adesso punge. Poi giù a capofitto verso Andorno. Molti della lunga sono in panne, ma resistono. Sul finale un incitamento ad un compagno di squadra impegnato sui 31 ed i complimenti ad una coppia appena superata che finisce a mani alzate. Tolgo il cappello sulla linea dell'arrivo, la pioggia batte sulla pelata ma non la sento. Chapeau Monsieur Tapabada! 2h21' per circa 20km. Emozioni tante (difficili da raccontare che la gara è andata via tutto d'un fiato), divertimento allo stato puro, come da bimbo quando venivi giù a spazzaneve e credevi di essere Thoeni. Il prossimo anno 46km, se Dio vuole, per assaporare meglio il gusto della fatica e di questi monti. Il dopo è una doccia fredda in una camera a gas, il sapore di fango vivo ancora in bocca. Una Menabrea please
Pain is inevitable. Suffering is optional.

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