Che
silenzio. Par de esser in giesa!
Arranchiamo sulla salita per la
Ceriola e le voci si sono smorzate dopo il cicaleccio da Italiani in gita dei
primi 5 km falsopianeggianti. Ora il bosco inghiotte il sentiero e saliamo fino
a Malga Derocca. La salita è tosta, ma mi sento così bene da tentare qualche
sorpasso. Dimentico di bere frequentemente e arrivo al primo ristoro (ottavo
km) evidentemente assetato. Poi la via riprende in costa (prima caduta, di
coscia destra) e ancora in su verso la croce del Becco di Ceriola. La salita più
tosta della giornata finisce al decimo km. Tempo per una foto alla Valle dell’Adige
là sotto (per non essere da meno della coppia di americani che continua a
fermarsi per scattare foto e poi riprende a ritmo forsennato, che il paesaggio già
lo conosco).
La prima discesa (seconda caduta, di chiappa, attutita da
soft flask mezza vuota), serve per farmi superare da quei pochi che erano stati
dietro fino alla croce di vetta. Ripida ma non troppo, la discesa si apre poi su
pratoni e su una forestale in un a zona il cui incanto merita un pit
stop bucolico. Il secondo ristoro a Malga Palazzo sembra una festa di paese. E
via alle libagioni allora. Mangio: speck, formaggio, crackers, crostata. Cos’è quello? Massì mi dia anche la frutta
secca che fa bene. Bevo: sali acqua con gas e senza gas, coca. C’è anche la birra? Si, ni, no, dai devo andare,
magari del the, si del the è meglio, che poi sembro quello che corre i trail
solo per i ristori). Riparto un po’ appesantito. Dopo un 200 mt di salita
si può decisamente togliere il po’. Il tratto in falsopiano incita al piccolo
trotto, ma io preferisco risparmiarmi (sì, si, diciamo che è per quello, ma in
effetti lo stomaco mi sembra una lavatrice in piena centrifuga). Così inizia la
salita verso il Cornetto di Folgaria in una valle semilunare. Mi sembra di
viaggiare con passo sostenuto, ma chi mi ha superato dopo il ristoro è ormai un
puntino davanti a me sulla cresta che porta al Cornetto. Quando ci arrivo io
inizia a piovigginare. Tuona. Assalito dalle mosche (a proposito un plauso ai
volontari, qui per i fastidiosi insetti, e su tutto il percorso per l’ottima vigilanza e
l'incitamento) mangio qualcosa (probabile anche qualche mosca) e scendo con i bastoncini ficcati a punta in su
nello zaino (quanto mai). Siamo oltre il 18esimo km. Si scende e poi sarà l’ultimo
strappo di giornata al Becco di Filadonna, cima Coppi della gara. E qui, dove si
dovrebbe correre, vengo frenato dalla vegetazione, su cui vanno a sbattere le punte
dei sopramenzionati bastoncini (ma fermarsi e riporli nello zaino?) e dalla
scarsa aderenza delle mie suole alle rocce viscide (allora la leggenda delle vibram
che su roccia umida è come il sapone non è una leggenda?). I primi “cadaveri”:
crampi, un telo termico svolazzante, addirittura un collega con annessa flebo e
movimento del soccorso alpino. Metto i remi in barca e arrivo allo
scollinamento. La discesa qui è veramente tecnica. Gambe e stomaco non seguono
il legittimo padrone. Giù alla Paolone (terza caduta, di chiappa, la soft flask
vuota questa volta non ammortizza, ma metto giù le mani in tempo utile). Un po’
di sorpassi, attivi e passivi, e quando vedo la strada spianare … quarta caduta
di ginocchio con ferita lacero contusa. Al Rifugio Casarota mi sciacquo e bevo,
bevo bevo, poi smetto di bere perché forse ho bevuto troppo. E infatti nei
restanti 10 km che separano dal traguardo (tali dovrebbero essere perché intanto
il Garmin sì è/l’ho fermato involontariamente per 3km3) appena provo a correre
su un’ampia forestale lo stomaco si trasforma in una boule da agitare con
cautela, al retrogusto di gel enervit, speck e diosacosaltro, ma comunque poco appetibile. Così cammino, in attesa
che passi il momento no. Poi scende la pioggia, poi un chicco e poi un altro
+ grosso.
Gli ultimi 5 km, mentre diluvia, li faccio, questa volta sì, correndo.
Il mio unico pensiero motivante è che l’auto, parcheggiata in un prato a mio
giudizio poco permeabile, non ne uscirà più - ed io per giorni fermo a Vigolo
Vattaro (sai quelle ansie immotivate che ti prendono e fanno fatica a
lasciarti). Così arrivo al rush finale camminando. E poi strisciando, una volta
passato dal parcheggio e aver fugato tutte le mie ansie :). Ma poi mi ritrovo a correre e
correre come non facevo da qualche settimana perché il tipo che porta le ghette
(?!) e i pantaloncini di maglina della Champion (che uso spesso quando vedo la
tv sul divano) è uscito dal bosco là in fondo e io, che l’avevo superato
qualche km prima, lo voglio tenere dietro, a tutti i costi, o io non mi chiamo
più Tapabada.