La tromba che suona il silenzio alla
partenza, i fuochi di artificio che svegliano Asiago alle 6 della mattina, la
prima neve in cima al Portule, la commozione sull'Ortigara e davanti
al cimitero della Brigata Sassari. Quante emozioni diluite in 62km e 10 ore e 30
minuti di viaggio nella storia.
La mia prima ultra doveva essere qui,
in uno dei luoghi simbolo della Grande Guerra per non dimenticare gli orrori
della guerra. Perché una volta finita la benzina ci sarebbe stata solo la
volontà a portarmi fino al traguardo e spesso la volontà si nutre di retorica,
di simboli.

E così fu. La frontale accesa a salutare la prima luce dell'alba
che rischiara l'altopiano. Corsa e camminata per affrontare la salita a Forte Interrotto,
la prima asperità di giornata. Poi ci buttiamo giù in discesa lungo tornanti disegnati
nel sottobosco umido, pieno di funghi e fungiatt. Più attento alle ombre
filanti che chiedono spazio che alle radici nascoste. Dopo il primo ristoro
ecco il lungo salitone verso Cima Portule. Sono 13 km di salita costante ma non
cattiva. Prima su strada bianca poi su un sentiero raggiunto dal primo sole della giornata. Si procede a
gruppi, si parla di marcia forzata (il posto è quello giusto). Il 60enne con
tuta, kway e pettorale, chiede strada e ci supera a doppia velocità (lo
raccatteremo più in là mezzo spompo, ma sempre incazzato). La salita spiana in vista del ristoro dei 20 km. La mia guida indiana ed il sottoscritto ne approfittano per
correre prima dell’ultimo tratto che ci separa da Cima Portule.


L’arrivo in vetta
ci regala un panorama sul Brenta e l'Adamello che solo settembre può riservare.
Calpestiamo la prima neve, mentre il vento che soffia da nord ci costringe a non
fermarci troppo. La discesa è breve, per un po’ si tira il fiat. Poi ancora
su verso Cima Dodici. Salita breve, ma questa volta bella dritta. Il panorama si
apre su una piana desolata, rocce e vegetazione scarsa. La strada bianca ci
conduce al ristoro dei 30km. Inizio a sentire la fatica, ma dopo una curva la vista della
campana in cima all'Ortigara mi rinfranca. La meta di giornata è lì che ci attende. Ci
arriviamo dopo 6 ore dalla partenza. Le foto di rito la commozione e poi giù in
mezzo ai tanti escursionisti che salgono fin quassù per ricordare la nostra meglio gioventù di
un secolo fa.

Il ristoro di Piazzale Lozze al 37 km segna anche la fine della
benzina. La parte di saliscendi da lì al traguardo mi appare senza fine e a nulla
vale l’incitamento della guida indiana. Lo sconforto mi assale quando mi
superano in tanti a doppia velocità (saranno una quindicina prima del
traguardo). Mi sconvolge meno il sapere che i km saranno più dei 59 previsti:
il viaggio è faticoso, ma il paesaggio ripaga la fatica. La mia guida indiana
fa il suo meglio per portarmi all'arrivo, ma solo negli ultimi km la testa inizia
a definire i contorni dell’impresa e riattiva le periferiche.
L'arrivo in centro ad Asiago, dopo oltre 10 ore e 30 minuti da quando lo
avevamo lasciato, in mezzo alle bancarelle di madeinmalga pone fine, non solo alla sofferenza, ma anche alla
magia di una giornata bellissima, un lungo viaggio nella storia, ma soprattutto
dentro al nulla cosmico del Tapabada. Fino alla fine.