“Amo Milano perché mi ha fatto conoscere il mondo fin da bambino" raccontava lo scrittore-giornalista che tanto manca a tutti noi. Così iI Tapabada ama la Milanocitymarathon (voto 6), perché gli ha fatto conoscere la maratona fin da neofita della corsa. Allora, era il 2005, fu il battesimo del tapascione sulla distanza. 5 anni dopo eccomi qui in una fredda e ventosa mattina di aprile in una landa desolata che si chiama Rho-fiera, al ritorno in una maratona, dopo un anno e mezzo di appuntamenti mancati. Rispetto a cinque anni fa molta nebbia e molti clacson in meno. Percorso non disprezzabile (voto 6,5), anche se non il più veloce al mondo come cercava di convincerci gridandolo nelle nostre orecchie lo speaker alla partenza. Ovviamente poca gente sulle strade ad applaudire, ma il tapabada, abituato alle cavalcate solitarie e mattutine, non cercava certo applausi nella Milano dei non-milanesi (voto 4). La misera cronaca di questo tentato suicidio (podistico). Partito in compagnia dell’altro sanmarchino M., per buona educazione mi sono adeguato al passo del collega, pensando di farci raggiungere presto dai palloncini delle 3h30. Così ho corso senza troppe apprensioni per la prima metà gara ad un ritmo intorno ai 4’50-55", un po' più basso di quello previsto dalla mia roadmap. I pacers ci raggiungevano al 20esimo e subito comprendevo che la loro andatura era più veloce dei 5'/km. Eppure, confidando nell’errore del mio gps o in chissà quali capacità “extramatoriali”, continuavo imperterrito a stare attacato ai palloncini, dritto all’appuntamento con il suicidio. Al 30esimo km, superato in 3h28’, ero ancora abbastanza lucido da capire che avrei potuto rallentare e fare la mia gara senza affanno. Ma niente, le gambe giravano, il cuore era in festa e la testa … senza ossigeno. Così arrivò il 35esimo km e alla sesta maratona il tapabada sperimentò fantozzianamente quello che tutti chiamano il “muro dei 35”. Salivazione azzerata, problemi psicomotori evidenti, difficoltà di pensare a qualcosa di diverso del “mi fermo qui”, “questa è l’ultima maratona che faccio, lo prometto”. Prima fermata al 36esimo, e tra il 40 ed il 41esimo una lunga camminata a sperimentare quanto sia effettivamente lungo Corso Sempione se non si viaggia sul pulman della Stie. Mi faccio coraggio in vista del km finale e riprendo a correre (possibile? forse me lo sono sognato), persino con una certa spinta, tanto per non dare la sensazione di essere più di là che di qui ai (pochi) spettatori presenti sul rush finale. Chiudo il tentato suicidio in 3h31’05’’ che poi, a pensarci bene, è la seconda prestazione sulla distanza. Insomma tagliato il traguardo, ancora con la medaglia fumante al collo (voto 6), il Tapabada già pensava a quale sarebbe stata la sua settima maratona.
12 aprile 2010
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