Che io mi ricordi sono le uniche scarpe che non mi hanno accompagnato neanche in una maratona (quando pure le Saucony Ride sono arrivate al traguardo di Milano, con tristi conseguenze per il mio ginocchio). Ma a memoria non hanno corso nemmeno una mezza. Eppure ci sono affezionato. Mi hanno fatto compagnia per oltre mille chilometri, accettando di me solo il peggio, come la moglie che attende il marito spogliarellista a tarda sera dopo avergli stirato le camice bianche che si strapperà sul palco la notte dopo. Il peggio per loro è stato il fango delle tapasciate, il freddo delle serate invernali passate a correre schivando le merde di cane, i ritmi lenti dei lunghissimi, le crisi a metà allenamento di quelle giornate storte fin dalla sveglia. Mai la gioia di un pettorale col chip da portare fino al traguardo, mai il ritmo frizzante di una serale estiva, di un 4'30'' al km, mai fotografate incrusciate al collo del Tapabada dopo un altro Pb. Niente di tutto questo.
Oggi allora le ho portate a farsi l'ultimo giro (quello delle vacche). Stavano lì tranquille ed impolverate in un sacchetto rosso, pronte per essere rottamate, ma il rischio pioggia era alto (bastardo fino all'ultimo!) e allora via con me per gli ultimi 20km di vita agonistica. Su e giù tra i canali e la riva del Ticino, tutto sterrato, di quello bagnato of course, che chi è nato per soffrire lo deve fare fino in fondo. Ora il vostro lavoro è finito, ma tranquille, un giorno correremo ancora insieme nelle praterie del dio della corsa (se mai dovesse piovere).
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