La
nota positiva di questa trasferta romana è che sono tornato a correre: 30 km, senza avvertire dolore al ginocchio. Poi cosa resta? Uno dei peggiori tempi sulla
distanza per il Tapabada, dodici km di camminata svelta a rimirar palazzi (e meno
male che eravamo a Roma e non sperduti in mezzo a qualche risaia), una tattica
di corsa suicida. Ma va bene così. Roma val bene questa sofferenza. Parto in
fretta per finire in fretta, prima che il ginocchio si ricordi di reclamare la
sua presenza. Il ritmo è per me troppo alto, sotto ai 5’/km per qualche
manciata di secondi. Cerco di frenarmi, ma sembra impossibile. Così alla mezza
passo in meno di 1h45’. Poi fino al 30esimo barcollo, ma non mollo. Infine mi
fermo. Senza benzina, cotto, nonostante il vento primaverile offra la condizione
migliore per correre. Mi pare che il ginocchio sia lì per cedere. Gli ultimi dodici
km sono una passeggiata, non proprio piacevole, per le vie del centro storico.
Chiudo in 3h49’31” con un senso di malessere diffuso, le forze mi hanno
lasciato un’ora prima, adesso mi pare di non essere neanche tanto presente con
la testa. La decima maratona del Tapabada va in archivio così. E per oggi non
ho null'altro da aggiungere.
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