E una volta entrato nel locale caldo dell’ultimo ristoro di
Grassona mi guardo intorno. Gente che si cambia gli indumenti di gara, corpi
bagnati e avvolti nel telo termico in fila su di una panca, bambini che corrono
divertiti in mezzo alla confusione. E’ in quel momento che sorge la famosa
domanda “Che ci faccio io qui?” Non fosse entrato in quel momento il simpatico
driver del furgone “ritiro atleti usurati” è probabile che mi sarei risvegliato
dal torpore mentale e avrei percorso gli ultimi dieci km fatti di pioggia e
fango per assicurarmi l’ambita medaglia da finisher. Ma ... ma le cose non sempre
vanno nel verso giusto.
La UTLO era la corsa adatta per terminare una stagione non
molto fortunata. E nonostante il meteo infame c’erano le condizioni per fare
bene (leggasi distribuzione di dislivelli e distanze in allenamento nella
giusta misura). Tutto era filato liscio nei primi 50km. Di questa UTLO60K, come
sempre, la prima parte è la più tosta, con salite importanti (2000 metri di
dislivello nei primi 22 km di viaggio). Fino a Quarna per via crucis in senso
letterale e metaforico, il Monte Mazzoccone, la cui salita non lascia respiro,
poi il Monte Croce per pendio più lungo, ma meno impegnativo, ed infine il
Novesso da prendere di petto, dritto per dritto. Parto con calma, affronto le
salite con il solito passo da cercatore di funghi, complice anche la lunga fila
di trailers che fa da tappo in alcuni tratti. Corro nei tratti piani e cerco di
non cadere nelle discese fatte di fango. Ma soprattutto mi alimento con cura,
bevendo e mangiando pastina a tutti i mitici ristori (Camasca, Sacchi e Arola).
Giunto ad Arola, ristoro di metà percorso, mi cambio la maglia bagnata e
indosso una giacca impermeabile più resistente per affrontare la pioggia del
tardo pomeriggio. Boleto, la Madonna del Sasso e poi il lungolago di Pella vengono
superati con ancora la giusta dose di energie fisiche e mentali. E’ sulle rampe
che portano a Grassona, sotto una pioggia che si fa sempre più insistente, che
inizio a perdere la determinazione necessaria per affrontare le prime ombre
della sera. Prima dell’ultimo ristoro raggiungo altri compagni di viaggio. Con
loro si fa a chi sta in equilibrio più a lungo su un sentiero che è diventato
un piccolo ruscello. Occhiali appannati e frontale che non riesce a fendere con
decisione il buio, così come la pioggia che scende lungo la schiena, rendono concreta
la domanda ad inizio di questo post.
E’ un attimo essere seduto sul caldo furgone, tremante nel
mio telo termico, scendere i tornanti verso il lago d’Orta, mentre sfilano sul
lungo lago i trailers che si avvicinano alla finish line. Da queste 10 ore
trascorse a surfare sul fango mi porto a casa qualche insegnamento pratico (un
cambio di indumenti in più, il telo termico da usare sotto il goretex in caso
di freddo percepito) e la certezza di avere acquisito l’esperienza necessaria
per gestire situazioni al limite, almeno per il tenutario di questo blog. Al di
là della personale avventura la UTLO è un trail cresciuto negli anni sia per
qualità organizzativa che per quantità di presenze. Da correre assolutamente.
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