Il sole saliva sempre più in alto.
L’immota, pietrificata distesa del deserto ne assorbiva i raggi,
surriscaldandosi e cominciando ad ardere. Si avvicinava l’ora in cui tutto
diventa un inferno: la terra, il cielo, noi stessi. Gli joruba credono che l’uomo
abbandonato dalla sua ombra muoia. E qui le ombre cominciavano a rattrappirsi,
a sbiadire e lentamente a svanire. Si avvicinavano le spaventose ore
canicolari, quando uomini e cose non danno più ombra, esistono e non esistono,
ridotte ad un biancore luminoso e incandescente.
Mi
costringo a pensare alle parole di Kapuscinski, in panne nel deserto della
Mauritania, mentre scendo dall’auto ed il termometro segna -16° qui a Santa
Cristina di Borgomanero. Sono quei momenti in cui rifletti cupamente sulla
devianza della mente umana. Poi ti accorgi di essere in buona compagnia (oltre 500 questa mattina) e allora ti fai coraggio e i tuoi arti inferiori iniziano a
congelarsi.
La terza volta qui a Santa Cristina: la prima con neve e fango, la seconda con cielo sereno, la terza ... gelo e neve. La partenza dà coraggio al fisico e poco a poco ti accorgi che zampettare su questa neve alta e poco battuta è un piacere senza fine. Così il Tapabada riscopre il suo senso per la neve ed il freddo. Il gelo è pulizia, i pensieri si cristallizzano, la mente si svuota, così concentrata nel cercare di scaldare il corpo. I km avanzano inesorabili e la fatica, invece che aumentare, si ritrae di fronte al bianco che ti sta intorno. Il percorso quest’anno ha subito non poche modifiche. Inizialmente mi pare di girare all’inverso rispetto alle edizioni precedenti, le salite toste arrivano dopo il 20esimo km. In mezzo hanno messo un toboga, su e giù per una pista da cross, fatta rigorosamente di sedere. Dopo l’ultimo ristoro cado due volte, mi salvo da un tronco vagante. Ho le energie per riprendere ancora qualche podista davanti a me. Concludo la fatica poco sotto le 3h15’. Gli antibiotici hanno un effetto dopante, assodato! Dato il clima, non mi faccio mancare nè la doccia fredda nè il pasta party. Quest’anno la Menabrea è sul tavolo come da me auspicato l’anno scorso. Non è alla spina, ma la bozza è sempre gradita.
La terza volta qui a Santa Cristina: la prima con neve e fango, la seconda con cielo sereno, la terza ... gelo e neve. La partenza dà coraggio al fisico e poco a poco ti accorgi che zampettare su questa neve alta e poco battuta è un piacere senza fine. Così il Tapabada riscopre il suo senso per la neve ed il freddo. Il gelo è pulizia, i pensieri si cristallizzano, la mente si svuota, così concentrata nel cercare di scaldare il corpo. I km avanzano inesorabili e la fatica, invece che aumentare, si ritrae di fronte al bianco che ti sta intorno. Il percorso quest’anno ha subito non poche modifiche. Inizialmente mi pare di girare all’inverso rispetto alle edizioni precedenti, le salite toste arrivano dopo il 20esimo km. In mezzo hanno messo un toboga, su e giù per una pista da cross, fatta rigorosamente di sedere. Dopo l’ultimo ristoro cado due volte, mi salvo da un tronco vagante. Ho le energie per riprendere ancora qualche podista davanti a me. Concludo la fatica poco sotto le 3h15’. Gli antibiotici hanno un effetto dopante, assodato! Dato il clima, non mi faccio mancare nè la doccia fredda nè il pasta party. Quest’anno la Menabrea è sul tavolo come da me auspicato l’anno scorso. Non è alla spina, ma la bozza è sempre gradita.
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