Da qualche mattina a questa parte il primo canarino a cantare è il mio. Poi tiro l’acqua. Torno a letto. E attendo che l’alba porti nella stanza il cinguettio degli altri (uccelli). Alle cinque e mezzo mi alzo, bevo un bicchiere d’acqua, accendo lo scalda latte e metto il GPS sul davanzale, affinché prenda il segnale senza perdere tempo quando sarò in strada. Il mucchio selvaggio mi attende davanti alla porta di ingresso. Dal basso verso l’alto: scarpe (scelte in base al tipo di allenamento che intendo fare e al terreno che devo pestare), canotta, pantaloncini, calze, cinturino portachiavi ed occhiali da corsa. Le scarpe me le allaccio giù nel parcheggio, mentre attendo che il GPS ritrovi il segnale. Quando faccio scattare il crono, il tendine d’Achille sx mi avverte immancabilmente che dovrei concedermi un lungo stop dalle corse, affinché possa mantenere la sua posizione ancora per qualche anno. Il primo km è di lancio: lo corro tra i 5’10” ed i 5’20”. Svoltata la curva, automaticamente accelero. Pure troppo, tanto che al terzo km mi dico che non posso continuare a questo ritmo per molto ancora. E al quarto km, davanti alla pista di atletica di Sacconago prendo immancabilmente la prima importante decisione della giornata. E’ qui che si decide cosa scriverò sul foglio excel degli allenamenti, accanto ai km percorsi oggi: CV (corsa veloce) se continuo a questo ritmo indiavolato, CM (corsa media) se rallento un po’, P (progressivo) se penso che oggi sia l’ultimo giorno da vivere, K (allenamento alla Katsen) se rallento notevolmente fino al termine della corsa. E’ in questa zona, poi, che, a partire da fine giugno, incontro qualche altro podista. Di podisti seri per la verità mi sembra essercene solamente uno. Gli altri sono tapa-funghi: come i funghi spuntano solo in certe stagioni. Del tipo: “Cara, ad agosto andiamo al mare. E’ ora di buttare giù un po’ di pancia con qualche corsetta”. Contrariamente ai funghi, però, a settembre non ci sono già più.
Il cavalcavia del quinto km segna il ritorno a Tapasciopoli. All’incrocio successivo incontro i furgoncini che escono dalla rimessa Agesp. Da questa stagione tento di concentrarmi sul volto degli operatori ecologici che stanno dietro al parabrezza. Vorrei arrivare a riconoscerli, capire se sono sempre i medesimi, se fanno i turni, che (alta) considerazione hanno di chi corre, mentre loro inziano a lavorare. Dopo l’incrocio ci sono i soliti tre cani incazzati che attendono il Tapabada per svegliare il quartiere. Da qualche settimana poi devo fare attenzione a schivare due leprotti che se ne stanno come i bravi in attesa di Don Abbondio ad occupare l’intero marciapiede. Probabilmente i muratori che lavorano nell’edificio sul lato opposto della strada forniscono loro generi di sussistenza e poco importa a loro del Tapabada e della sua CV. Al sesto km mi tocca la seconda importante decisione della giornata: continuare sul percorso del gir-otto® classico o allungare la broda. Ultimamente continuo sul classico, ma poi mi infratto in qualche viuzza laterale per allungare comunque. Alla fine dell’ottavo km guardo l’orologio. Se sono in ritardo, chiudo al nove, altrimenti scrivo 10 sul file excel.
Il nono km è sempre quello più impegnativo, Sia che stia correndo una CV o una CM o un K, meno a tutta per svuotare il serbatoio. All’inizio del decimo entro nel mio quartiere, passo davanti all’asilo nido e rallento notevolmente. Un po’ per recuperare lo sforzo, un po’ per tenere un profilo basso nell’isolato. Tranne gli amici tapascioni del posto, nessuno nel quartiere conosce la mia vera identità. Insomma vorrei continuare ad essere ricordato dai vicini di casa come: “quel signore di mezza età, una bella famiglia, però con ‘sta fissa della corsa la mattina presto. Meno male che uscendo non sbatte il portone”.
Arrivo nel parcheggio e fermo il crono sui 10; né un metro prima né un metro dopo. Ci sono certezze nella vita che vanno coltivate con una propria disciplina interna. Poi apro la porta ed accendo la radio. Good morning Tapasciopoli!
Nessun commento:
Posta un commento