29 marzo 2011

Solitario e finale

Adesso ho ripreso a correre. Negli ultimi tre chilometri mi sono fermato due volte, ai bordi della strada. Ho cercato di svuotare uno stomaco che non fa passare nulla. Nausea, crampi, non sudo più, sento addosso tanto freddo. La lunga discesa da Vittorio Veneto è terminata. Di fronte a me le mura di Treviso, i due gonfiabili annunciano l’ultimo chilometro. Una curva, applausi, tanta gente. Poi un’altra curva e siamo nel centro storico. Passo il cartello dei 41, guardo a terra perché le gambe non mi sostengono e ho paura di cadere. Seguo un altro corridore, mi concentro solo sui piedi in movimento. Tante curve, cerco di ricordarmi le strade percorse ieri sera. Svolto a sinistra e scorgo il traguardo. Non riesco a focalizzare il tempo sul tabellone, continuo a seguire i piedi del corridore davanti a me. E’ finita: 3h29m23s (3h28m29s, PB sulla distanza). Non ho la forza di alzare le mani, tremo, mi mettono al collo una medaglia, un telo sulle spalle. Mi aggrappo ad una transenna, se mi siedo non riuscirei a rialzarmi. Intorno a me nessuno, mi pare di essere completamente solo, alla fine di una corsa lunga una vita e non 42 chilometri. Finisce così questo ultimo km: solitario e finale.

La mattina era iniziata sul bus navetta che porta alla partenza di Vittorio Veneto. Siamo in tre. Con me Michele dall’estremo ovest e Domenico ultraman dell’estremo sud. La passionaccia ci fa incontrare qui, nel profondo est. L’attesa dura parecchio, poi il colpo di pistola mi sbatte sulla faccia il vento che scende dalla montagna. E’ tutta discesa, soprattutto nel primo terzo di gara. Le gambe vanno e supero i pacers delle 3h30, a cui mi volevo accodare. Da qui a Treviso è un lungo stradone, la monotonia spezzata solo dalla gente che applaude nei paesi che attraversiamo. Il vento ora sferza trasversale, arriva dal mare. Le gambe girano costantemente sotto i 5’/km. Penso che farò la fine di Milano: bollito al 35esimo. Ma non ci penso a rallentare. Il cronometro, posizionato a metà gara, fissa il mio passaggio alla mezza in 1h44’42’’. Il dolore al piede, avuto sin qui, sembra passato, come passa il ponte sul Piave nei pressi di Nervesa della Battaglia. La corsa è in solitudine, cercasi compagni inutilmente. Allora mi concentro sui tricolori sparsi un po’ tutto intorno. Tengo la testa bassa per non immaginare quel rettilineo senza fine davanti a me. Siamo a Spresiano (28esimo km). Al ristoro del 30esimo metto in pancia il primo gel. La mia andatura è a strappi: un km a 4’54’’, poi a 4’58’’, poi ancora più veloce, segnali che il cedimento è prossimo. Prima di entrare a Villorba iniziano i primi crampi allo stomaco, poi la nausea. Al ristoro del 35esimo non va giù nulla, al 36esimo una signora offre prosecco e penso che qualche bollicina farebbe al caso mio. Mi devo fermare, non sudo più, sento freddo, vorrei solo svuotarmi. Mi fermo ancora un’altra volta. Poi, in fondo al viale riconosco le mura di Treviso. Riprendo a correre per l’ultimo km, solitario e finale.


2 commenti:

  1. Complimenti!!!
    Leggendo il tuo racconto mi hai fatto vivere una forte emozione, grande tapabada!
    Chissà....forse l'anno prossimo correrò al tuo fianco
    Ciao
    Marcello

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  2. @Marcello. Ciao, perché aspettare l'anno prossimo? Una maratona autunnale o la Sarnico- Lovere di metà aprile ad esempio. M.

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